Siamo in una situazione di transizione verso terre ignote sul piano istituzionale, con un esecutivo che è tecnico nella composizione della squadra ma pienamente politico nella volontà di riconfigurare il modello sociale del Paese. Questo governo sa di non avere il problema delle urne ed è perfettamente consapevole di fare una politica impopolare, sapendo che c’è il pieno appoggio delle istituzioni in questo, dal Presidente della Repubblica alle istituzioni europee. C’è un chiaro progetto che ha previsto fin dall’inizio di bastonare determinati settori sociali, anche al limite della soglia di povertà e della sopravvivenza, per salvaguardarne altri, decisamente messi meglio. Insomma, un governo non eletto dal popolo ha firmato in Europa un accordo che trasforma l’Italia in un protettorato tedesco.
Passiamo ora a parlare della necessità di correttivi di equità alla manovra del governo sull’editoria e la carta stampata, in una situazione, per i lavoratori poligrafici, di aggravio delle condizioni del settore, già pesantemente colpito per gli effetti generali della crisi. Anche i giornalisti, come tutti i lavoratori dell’editoria, stanno pagando un prezzo alto alla crisi in termini di posti di lavoro e precarietà. Ma come noi tutti ben sappiamo, il settore sta rischiando anche da parte della mano pubblica, con l’intenzione di voler tagliare i fondi a circa un centinaio di testate non solo politiche, ma anche di cooperative e di opinione. Con questo non solo si rischia di incidere negativamente sulla libertà di stampa e il pluralismo democratico dell’informazione, ma se si mettono a casa 4000 lavoratori, lo Stato spenderà più soldi per i loro ammortizzatori sociali.
La crisi attuale dell’Europa è data dall’esaurirsi di un percorso fondato sul neoliberismo e la finanza. Negli ultimi vent’anni il volto dell’Europa non è stato solo moneta unica, ma anche liberalizzazioni più o meno selvagge, bolle speculative ed esplodere delle disuguaglianze. Alla crisi finanziaria, le autorità europee hanno dato una risposta irresponsabile, imponendo politiche di austerità e tagli di bilancio, che ora saranno anche inseriti nei trattati. I risultati sono che la crisi non l’hanno pagata i soggetti che l’hanno causata, in primis le banche, ed ora la crisi finanziaria si sta estendendo a tutti i Paesi. L’Europa può sopravvivere solo se cambia strada e prende il volto del lavoro, dell’ambiente, della democrazia, della pace e dell’integrazione. Ecco i quattro obiettivi da cui partire:
1) Ridimensionare la finanza. La finanza, all’origine della crisi, deve essere messa in condizione da non devastare più l’economia; tutte le transazioni finanziarie devono essere tassate, una regolamentazione più stretta deve impedire le attività speculative rischiose; oltre a mercato e moneta servono politiche comuni in altri ambiti, che sostituiscano il Patto di Stabilità, riducano gli squilibri e cambino la direzione dello sviluppo; in campo fiscale occorre armonizzare la tassazione, spostando il carico fiscale dal lavoro alla ricchezza e alle fonti energetiche non rinnovabili; la spesa pubblica deve essere utilizzata per difendere il welfare, estendere le attività e i servizi pubblici; la produzione e il consumo devono essere orientati alla sostenibilità; gli eurobond devono essere introdotti per finanziare la riconversione ecologica dell’economia, con investimenti capaci di creare occupazione e tutelare l’ambiente.
2) Aumentare l’occupazione, tutelare il lavoro, ridurre le disuguaglianze. Dopo anni di politiche che hanno creato disoccupazione, precarietà e impoverimento, ora serve mettere al primo posto la creazione di un’occupazione stabile, di qualità e la tutela dei redditi più bassi.
3) Proteggere l’ambiente
4) Praticare la democrazia rappresentativa, sociale, partecipativa e deliberativa. Commissione Europea e Banca Centrale esercitando poteri senza rispondere ai cittadini, mentre il Parlamento Europeo non ha ancora un ruolo adeguato. Le esperienze di questi ultimi decenni della società civile, con i movimenti, le mobilitazioni, i forum sociali, le proteste degli indignados, hanno bisogno di una risposta istituzionale. L’inclusione sociale e politica dei migranti è poi una condizione imprescindibile di promozione della convivenza civile; fare la pace. L’Europa è ancora responsabile della presenza di armi nucleari e di un quinto della spesa militare mondiale. Con gli attuali problemi di bilancio, i tagli alla spesa militare sono indispensabili.
L’Unione Europea non parla al lavoro. I 27 meno 1 hanno sottoscritto austerità. Tutti nella stessa direzione: tagli e rigore, per soddisfare le richieste del sistema finanziario. Le banche escono vincitrici, perché non solo hanno ricevuto l’assicurazione che non saranno chiamate a pagare, ma avranno anche soldi a basso tasso d’interesse dalla Bce, che potranno prestare a tassi da usura. L’Fmi entra in Europa con forza, perché i prestiti agli Stati passeranno per questa istituzione. Questa Europa non sa parlare ai cittadini. Che cosa risponderanno i governi, difensori delle banche, alle inquietudini di sindacati e lavoratori, sottoposti al ricatto della paura del crollo economico e della disoccupazione crescente in un’Europa che si appresta, nel 2012, a perdurare nella recessione? Il pensiero unico persiste nel voler difendere un modello che si è già rivelato perdente.