Solvitur ambulanda
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sabato 31 marzo 2012

Daniela Nocella


Daniela Nocella è nata a Gaeta il 22/04/1982 e vive a Minturno (LT). In lei nasce fin da bambina l’amore per l’arte, la letteratura e la poesia e rivela di aver cominciato a scrivere da quando ha memoria. Proprio per scoprire tutti i generi e le varie culture artistiche decide di iscriversi al liceo linguistico. Anche la scelta della facoltà di Archeologia è dettata dalla volontà di sapere e scoprire quello che non è ancora stato visto e di riportare alla vita quello che ora è celato dalla terra e dall’oscurità del tempo. Ha partecipato a numerosi concorsi letterari. Nel 1997 ha ottenuto il premio di poesia “Tulliola” presso la città di Itri così come nel 1998 e nel 2001 presso le città di Fondi e Formia. Daniela ha pubblicato la raccolta di poesie “La Danza di Cento Petali Verdi” presso la casa editrice Libroitaliano nel 2007 e la raccolta “La Maschera dell’Allegria” presso la casa editrice ISMECA editore nel 2008. Numerose sono state le poesie scelte e pubblicate nelle varie antologie dalla casa editrice Giulio Perrone e dalla rivista letteraria Orizzonti come: “Donne e poesia”, “la Bellezza”, “Natale”, “Parole in fuga”, “Dedicato a… poesie per ricordare”, “il Federiciano”, “Verrà il mattino e avrà un tuo verso”, “Habere artem”, ….. . Nel 2008 ha partecipato alla trasmissione dedicata ai poeti contemporanei del sud Lazio della rete del sud pontino “ Il Golfo”.  Nel marzo del 2009 è stata ospite della trasmissione riguardante dibattiti culturali di Poeti e Poesia. Una delle più grandi passioni di Daniela è il canto. Attualmente è impegnata a scrivere non solo in versi, ma anche saggi e prose.

POESIE

L’avvento dell’estate

Respira, anima offesa, l’incenso
della gloria inattesa.
È partorito il grido di Nemesi
alle soglie del Paradiso perduto.
S’effonde per l’ onde dei
placidi cieli primaverili l’umore
giocondo di applausi levati dall’onte
profonde dell’illusione.
Libero pei venti il rosso sole
fulge e il sorriso virile
dell’estate trafigge ricordi
di infelici profeti.

O placido fuoco

Sepolto il ricordo di labili e
voluttuose parole.
Soffocata la memoria dell’amore
dolce e docile, creatura
proveniente dai cieli.
E come il fuoco arde possente,
distrugge ma il sogno protegge,
un giorno l’anima mia ribelle dimenticherà.
Obliato il rancore, sparse nel passato le ceneri
di uno stendardo che brucia,
ora, di vigore.
La vecchiezza inonderà di stanchezza
il rigoglioso lume.

Su ali d’Amore

Sboccia chiara passione
all’occhio sognante.
Sfuma alla vista rapita
l’intrepida memoria;
di giochi d’amore, di
bocche protese all’orecchio
di Virtù, lascive parole
d’abbandono sussurra.
E il cuore sussulta, strepita,
scolpita, al ventre s’acquieta,
fuggevole per l’apparizione soave e
al profumo di rose mature
a labbra volitive concede il
morso di fragole rosse.

Fanciullezza

Di tragici lumi riluce,
su selve di bestie furenti
maestosa, serena, possente s’impone.
Il corpo acerbo prigione alla mente
sveglia e la Giovinezza brama
che il Tempo riveli la sua voce.
Ma ansioso nocchiero per mari,
ora tranquilli, poi tempestosi,
lesto porta al largo dei ricordi e
vecchietto l’uomo bacio
a perduta Beltà concede.

L’autunno e l’anima

Segue l’autunno la rotta
d’uccelli migranti e
tiepide foglie prima riarse dal
sole di manti purpurei rallegrano la via.
Allegra malinconia saluta le viti
festanti che abbondanza
risplendono pigne al cielo fecondo.
E il vento festeggia grintoso
l’arrivo del temporale,
l’anima attende serena la
prossima estate.

Poema italico

O Patria mia miseramente seduta su
giunchi congiunti da miserevoli servi.
Tu che rechi nel petto gonfie ferite di
passati non ancora sepolti e lacrimi
profezie dal ventre della cristianità.
O Patria mia gloriosamente atterrita
da figli disastrosi che non liberarono
altro che peggiori destini per te
che lamenti sfinita un seno che
non nutre più.
O Patria mia che soffocasti gloriosi
discepoli per renderci un’unica
bandiera al mondo che ti umiliò e
che benedicesti il funebre martirio
di colui che ti guidò alla vita.
O Patria mia per cui non si versò sangue
abbastanza vermiglio da colorare il tuo
pallido viso, tu madre soffocata dal dolore,
tu madre consolata dall’Inno fedele, tu
padrona e serva del figlio indegno!

O Patria mia, quante parole,
quante blasfemie sul capo
tuo che Cristo incoronò di
spine, di lacerazioni che
ancora non si dimenticano.
O Patria mia, non posso salvarti, non oso
guardarti, non so confortarti e le mie
ardono ancor più forte nel cuore ribelle,
dalla prigione delle tue membra impedisci
all’anima di lodarti.
L’esercito che ti resuscitò, dall’oltretomba
un singulto riporterà, darà respiro
all’eroe che tornerà a guidare l’esule
spirito dei figli tuoi.
O Patria mia, tutti uniti per te, nuovamente
fratelli, nuovamente amati,
nuovamente vincitori!

L’uomo che soffre

L’uomo che soffre vive una vita silenziosa, misteriosa.
Pensa continuamente e riflette sulla realtà della morte.
Ha in viso una calma freddezza che lo fa sembrare
un fantasma, il suo pallore induce quasi terrore.
E mentre tutti lo guardano non capendo la ragione
di tanta pena, egli sogna, immagina di vivere lontano,
crea luoghi splendidi con la sua mente che può
solo pensare, con il suo intelletto che può solo sognare.
L’uomo che soffre è egoista, non condivide la gioia
del suo dolore. L’uomo che soffre è un poeta, che
scrive la sua disperazione.
(Tratta da “La Danza Di Cento Petali Verdi”)

Il Paradiso del Nulla

E sarò la Musa conduttrice nei Paradisi
universali e il Lete, acqua di eterno ricordo.
Musica furtiva dai flauti magici Apollo
emanò in respiri aulici.
Dal tragico cervello Sapienza verrà il mistero
d’un canto apocalittico.
Le membra partoriranno nuove speranze nel
mondo. Indra pose un pilastro tra cielo e terra
e tutto si mantenne speciale, Atlante sorreggerò
le emozioni e dalle dodici braccia un’arma
mortale ucciderà il rimorso.
Intelletto e passione all’unica vetta, mistero
e stupore all’esule anima, ragione e fede in
primogenito segno, ruscello di gemme e
perle colorate dal sangue.
(Tratta da “La Danza Di Cento Petali Verdi”)

Ritratto

Non servono ori all’intelletto,
il corpo non cinge virtù.
L’alloro non ha insaporito
alcun manto biondo e il
mantello purpureo è sulla
scultura che impressiona il poeta.
Non domande, non risposte,
ma la pura convinzione di rendere
ai sogni un’illusione migliore.
(Tratta da “La Maschera dell’Allegria”)

Vita e Guerra

Plasma tra le anime all’inferno
il male che conduce alla terra,
la guerra è nell’accordo tra
miseri contrari e i padri nascondono
i figli al demonio.
Il tempo ricorda e addormenta
le lucide speranze, quando
la memoria è una pozza di sangue
e la Vita, maga e strega, dimentica
i battiti d’ali d’Icaro al cospetto
del sole.
(Tratta da ”La Maschera dell’Allegria”)

Preghiera d’amore

Lenti fruscii di foglie galleggiano al vento,
al cielo risale il caldo nevischio di gelide estati.
Festeggia per l’aere dimesse lo splendido sole
che offusca, riscalda inconsolabile cuore.
E madre al Dio dell’amore più forte preghiera
pel figlio perduto rivolge in fervida fede.

Intime parole

Consola l’occhio che vede
la notte.
Abbraccia il tenero agnello
che carni
offre all’affamato mondo.
All’anima intime virtù da
parole stupite,
silenti, assordanti,
poeta concede.

A tutto ciò che ritroverò

Se la mia mano potesse scrivere quello che dal cuore
al cervello è celato.
Se la mia mente fosse capace di scordare ciò che il ricordo
infligge allo Spirito e se il Tempo, magnanimo signore, potesse consegnarmi la sua clessidra, ti darei la mia vita, il mio unico respiro .
Ti nutrirei del mio sangue, ti rialzerei dalla tomba con le stille della mia disperazione,
ti infliggerei le ultime mie parole. Invece t’ho lasciato andare
all’orizzonte, t’ho lasciato al creatore e spero che prima di
scagliarmi all’inferno il Signore mi conceda solo di sbirciare trai
beati la tua incancellabile visione.

Al mio caro Orlando

Le lacrime portano la vergogna
dell’insulto.
Le ferite sanguinano l’ignavia
del silenzio.
La tua tomba lamenta orgoglio
all’orecchio mio teso all’eternità.
Quanti ori prostrati alla lapide
tormentata e poi rossi tulipani
palpitanti al sole d’aprile
danzano al tumulto della scalpitante primavera.
Io porto l’anima delle tue battaglie,
l’onore del reietto e
riaffioro alla luce l’ammiraglia
affondata.
Sarò il tuo abisso e il mio
ventre partorirà l’immensa
tua lealtà.

Roma, eterno ricordo

Tu, immensa, eterna città del ricordo.
Tu, seduttrice, amante dell’illusione.
Nel tuo ventre di splendore combatte
la sua battaglia il barbone e
col cane abbandonato lotta per
un tozzo di pane sfuggito dal
morso del ricco signore.
Tu, madre della perfezione,
ogni giorno ti specchi nella
tua stessa disperazione e dall’alto
dei colli benedici i reietti
che in te cercano la Chimera
sognata dall’inferno e pregano
sotto il cupolone che il Dio
non si dimentichi il loro dolore.

Il ricordo del poeta

Lascia l’epitaffio d’un poeta
L’anima delle parole ……. .
Porgi all’idolo il tuo sguardo
come fiore posa per sempre.

Confusione

Non cercare di capire, non spiegare.
Abbandonati alla marea delle parole.
Sciogli la tua anima in
quest’oceano che è
fantasia, è immaginazione,
è un qualunque sogno.

Dedica

Trasforma in ricordi la malattia.
Sfigura l’incubo in ironia, la poesia.
Guarda la miseria dell’uomo con
le stridenti parole, schiude il
cuore affamato …….. .
Il sangue del dolore è appagato.

La nascita della poesia

Nata dal ventre del paradiso,
induco alla rinuncia.
Cresciuta col nettare della
passione, conduco nell’umiliante
oppressione.
Innamorata del dolore gioia proferisco
dalle labbra chiuse.
E cuore serrato da cinti aguzzi,
esplodo meraviglia.

Il sogno d’Apollo

Oh Musica,
sospiro della vita, essenza di
coccole piovute dai sogni.
Rendi eccelsa la purezza della
gloria e la tua voce è pioggia
di petali da un cielo vermiglio.
Danza, febbricitante, la musa lungo
il tuo cammino, porge bellezza
all’orecchio attento.
Canta la nota sciolta nel vento,
persa in mille anni di tempo e
la storia celebra ancora il
coro della tua nascita

giovedì 29 marzo 2012

Essere o apparire?

Uno dei più grandi problemi sociali e culturali del nostro tempo, in misura maggiore che in passato è quello relativo “all’apparire e all’essere”.
Nella realtà l’apparire implica: l’aspetto esteriore, unitamente alla personalità esibita dagli individui. Entrambi sono valori di cui ben sappiamo sono dubitabili: l’aspetto esteriore coinvolge tutta una serie di concetti oltre allo stesso paradigma fisico, come gli abiti, le credenziali, status sociale ecc…e la personalità che viene opportunatamente esibita da ogni individuo, la quale si matura psicologicamente in una scelta di manifestare sé stessi, implicando due condizioni essenziali: l’aspetto è il significato di me stesso che esibisco nell’immagine, la seconda è il mio lato interiore che voglio far trasparire di me. E’ facile intuire per esperienza quotidiana di ognuno di noi, come questi aspetti possono essere effimeri, deboli e spesse volte insignificanti. Una persona ci delude? E’ perché la credevamo diversa, ma essa fino a quel momento non ci aveva mostrato i suoi lati nascosti. Oppure il suo status sociale, il suo aspetto mi avevano dato una certa idea, ma poi invece era tutt’altra. E’ innegabile quanto siano numerose queste vicende nella vita di ognuno di noi, tuttavia è altrettanto verosimile come questi due valori seppur effimeri, sono in realtà limitati nella valutazione di una persona, ma frequentemente incidono notevolmente nei rapporti umani e sociali.
Gran parte del mondo si muove in virtù di questi due aspetti nonostante essi sono falsificabili, ed andando ancora più a fondo si può dire che gran parte delle persone non vivono assolutamente mostrando il proprio essere, quello autentico di sé stessi. Si potrebbero tracciare un infinità di esempi in merito, ma essendo ognuno di noi una cellula di un organismo molto più vasto che è l’umanità circostante, per quanto integerrimi è innegabile che gli altri producono un influsso in noi stessi, che sia negativo e positivo, almeno quanto noi influiamo su tutti gli altri.
La società moderna impone uno status e degli standard, ed ecco che orde di persone la inseguono, mentre non se ne rendono neanche conto, ciò perché gran parte dei rapporti sono dominati sull’apparire. Ciò ha portato innegabilmente ad un mondo che privilegia l’apparire in modo smisurato sull’essere che è rimasto sino ad oggi una terra di nessuno, poco importante e come si crede erroneamente persino non espandibile.
 L’essere quindi, è un qualcosa di profondamente diverso, l’essere è come siamo veramente, nel profondo, cosa e come pensiamo, è la parte di noi stessi con la quale dialoghiamo interiormente, ma essa raramente è mai esposta nella sua completezza, ciò perché spesso l’essere può collidere severamente con l’apparire.
 Tutti i pregiudizi, contrasti, divisioni, nascono da questo stato di cose, da un apparire effimero che crediamo infine costituisca l’essenza di un individuo, piuttosto che nella verità dell’essere ossia di come un determinato individuo è realmente. Ciò comporta inevitabilmente a credere all’esistenza di individui che ci circondano che in verità non sono come crediamo, essi possono essere molto migliori o molto peggiori, non importa al momento questa considerazione, ma l’importante è che ci siamo circondati di fantasmi e noi stessi finiamo per essere uno spettro in mezzo a molti altri. Tizio ha delle credenziali, dice determinate cose, appare potente (per citare un esempio) e mi convinco che egli stia nel giusto, mentre in realtà il suo essere è completamente sbagliato ma a me sconosciuto.
Il contrasto tra l’essere e l’apparire, è ciò che porta l’umanità moderna a commettere gli stessi errori del passato, nulla ancora oggi è cambiato.

Tutto pare fatto per apparire e quello che appare è destinato a essere visto, sentito, gustato, odorato. L'uomo sembra essere il centro di questa rappresentazione: egli ne è il primo spettatore e, nel contempo, l'interprete principale.
Apparire significa mostrarsi agli altri e questo vuol dire avere o cercare spettatori: esibirsi, mostrarsi, recitare, essere individuati e percepiti e, dunque, essere accettati, ammessi, legittimati al bisogno d'amore e al suo appagamento. Così inizia quel lungo e doloroso percorso dell’apparire che conduce al travestimento per la recita di un copione. La vita, pur essendo continuamente mobile, per un destino burlone tende a calarsi in una «forma» in cui resta prigioniera e dalla quale cerca di uscire per assumere nuove forme, senza mai trovare pace.
Inseriti in un determinato contesto o società, a noi stessi assegniamo una maschera, obbligandoci a muoverci secondo schemi ben definiti che accettiamo o per pigrizia o per convenienza senza avere mai il coraggio di rifiutarli, anche quando contrastano con la nostra natura. Sotto la maschera il nostro spirito freme per la sua continua mutabilità, ma ci freniamo sia per non urtare contro i pregiudizi della società, sia per la nostra tranquillità, perché, nel mondo mutevole ed enigmatico in cui viviamo, quella nostra «forma», o maschera fissa, è l’unico punto fermo al quale ci aggrappiamo disperatamente per non essere travolti dalla tempesta.

Il problema dell’essere o apparire, inteso come le modalità dell’animo e la voglia di fare apparire queste in modo diverso dalla verità con lo scopo di affermarsi nella società, e forse un modo di pensare consumistico che è dato dall’eguaglianza “io sono = ciò che ho e ciò che consumo”.

Scrivo queste poche considerazioni perché penso che la maggior parte delle persone con cui ho a che fare quotidianamente - al di fuori della cerchia dei miei amici - sia succube dell'apparire in luogo dell'essere e io stesso forse in questi ultimi anni mi sono posto agli occhi di queste persone in un modo che ora ritengo sbagliato, perché ho convogliato di me l'immagine di una persona semplice, un po' sfigata e di "fibra tenera". OK ad essere buoni, ma coglioni mai.
Sono innamorato di una ragazza che è uscita recentemente da una pluriennale storia di convivenza ed è ancora legata a lui con il pensiero, molto probabilmente è un legame più con il sentimento di affetto che ancora prova che il sentirsi ancora legata alla persona stessa, o forse è un innamoramento dovuto alla fisicità, all'aspetto e al modo di porsi di questa persona. Se la seconda ipotesi fosse vera mi viene da domandarmi da cosa questo sentimento sia realmente sostanziato e poi, quando un giorno la di lui bellezza sfiorirà, che cosa rimarra?
Dico a questa ragazza di non rimanere innamorata della sua bellezza perchè quella un giorno appassirà. Spero un giorno che ella potrà innamorarsi della mia semplicità, dei miei modi di fare, del modo in cui  riesco a far sorridere la gente. Innamorati di ciò che ho dentro di me, perchè quello non cambierà e non sfiorirà con il passare degli anni! Innamorati delle mie gioie, delle mie pazzie. Innamorati anche delle mie lacrime. Innamorati. L'aspetto non è tutto, innamorati di ciò che ho nel cuore!

venerdì 23 marzo 2012

Sulla crina


Per il titolo prendo a prestito le parole della poetessa Silvia Rosa per descrivere un particolare anatomico.
Conosco una ragazza che mi ha stregato, sono pazzo di lei, penso che abbia gli occhi più belli del mondo. Adoro il suo incarnato, sembra una bellissima bambola di porcellana, le sue gambe, il suo sorriso. Ma c'è una cosa in particolare che adoro di questa ragazza, M., è l'incavo del suo collo. Un giorno per gioco le ho sfiorato delicatamente l'incavo con un dito e ho adorato la luce che ha illuminato il suo volto quando le ho strappato un dolce sorriso. Ho voluto raccogliere una piccola serie di citazioni che riguardano questa parte del corpo, voglio condividere queste parole con voi. Buona lettura.

Il viso di lei appoggiato nell’incavo del mio collo è il pezzo mancante al puzzle sconnesso della mia vita, la chiave di tutto, il centro della circonferenza. Le sue gambe seguono i miei passi, che inventano la coreografia disegnata dal primo ballo di un uomo e una donna.
Bianca come il latte, rossa come il sangue - Alessandro d'Avenia.
***
.. Mi sfiorò l' incavo del collo con le sue labbra.
Provai una strana sensazione, piacevole, che mi rendeva inerme e vulnerabile. Il calore del suo respiro su di me si contrapponeva alle dolci e fredde labbra. Il solo ricordo ora mi uccide.
***
Le sue labbra si muovevano sull'incavo alla base del collo. "Non per scatenare prematuramente l'ira", sussurò, "ma ti dispiacerebbe spiegarmi cosa c'è che non va in questo letto?". Prima che potessi rispondere, prima che potessi anche solo concentrarmi per dare un senso alle sue parole, si girò sul fianco e mi tirò sopra di sè...
***
PANACEA
Ieri notte
quando ragnatele di ansie tristi e soffocanti
il mio Sonno scheggiato
Morfeo vinto
da umida angoscia strisciante
Ho pensato a te.
Bellezza di occhi sinceri
il modo di guardarci dentro
senza dire niente.
Ho sentito.
Le tue mani
Adoro
suonare leggere la mia pelle nuda.
Le tue
tenere, intorno al mio viso
quasi piango di Gioia
Sei Tu
il modo in cui mi vuoi
ritmo
i nostri passi sull’asfalto
sussurri il mio nome
espressioni buffe
e ho Sorriso
sì.
La strada del tuo odore
Io Amo
oziare nell’incavo del nostro collo
brividini

i tuoi Baci.
Non è mai stato così
lo so
Non mi sono mai sentita così
a posto
con me stessa.
Come se potessi lasciare fuori
semplicemente
quelle cose orribili
che mangiano da dentro
Posso chiudere il cancello alle spalle
percorrere il vialetto alberato
il Nostro Sogno sì
perdere le dita nel pelo soffice e striato
Abercrombie, il suo nome
infilare le chiavi nella toppa e
aprire la Porta di Casa
Ieri notte ho trovato l’antidoto
Ho pensato a te.
La Mia Clessidra
la Sabbia calda e setosa
l’unica a cullarmi e darmi conforto.
Ora provo a rifarlo
Voglio
addormentarmi nel pensiero di Te.
***
Il mio posto è nell’incavo del tuo collo, intorno alle tue spalle, in mezzo alle tue dita.
***
"Jak sente qualcosa che attraversa tutto il suo essere. Una tale tenerezza. Una tale dolcezza. Quando ha provato una consolazione così grande? Mira lo copre di una pioggia di baci. La pioggia lieve del pomeriggio, che lava e dissolve il passato. Si sente purificato, vivo e, così come la vita si risveglia sotto la pressione dolce ma persistente della pioggia sulla terra, ecco qualcosa in lui, un risveglio, il timido affacciarsi di nuove possibilità. Se la stringe contro, con una forza che spera esprima tutto ciò per cui gli mancano le parole. Lei lo comprende. Di questo è certo. Forse, un giorno, troverà le parole. Ma per ora non ha che un mormorio da deporle nell’incavo del collo: Mira, oh Mira, mia Mira..."
***
Riassaporerò le tue labbra che posatesi sull'incavo del collo mi invaderanno di calore; le tue mani, pronte a lacerare il mio maglione, scivoleranno avide sul mio corpo privo di vestiti. Le mie braccia ti avvolgeranno in una morsa d'amore ed i nostri cuori, l'uno sull'altro, esploderanno di piacere.
***
<<mi sembra che ora starmi vicino sia...molto più facile,per te>>
<<ti sembra...>>mormorò,sfiorandomi l'incavo del collo con la punta del naso.Sentii la sua mano,più leggera delle ali
di una farfalla,ravviare all'indietro i miei capelli bagnati per scoprire la pelle dietro l'orecchio,posarvi le labbra.
<<molto,molto più facile>>dissi,senza che mi uscisse il fiato.
<<mmm>>
<<perciò mi chiedevo...>>cercai d ricominciare,ma persi il filo del discorso perchè le sue dita avevano preso a seguire
il profilo del mio collo,fino alle spalle.
<<sì?>>mi alitò.
<<secondo te>>la voce mi tremò,con mio imbarazzo,<<qual è il motivo?>>
Sentii la sua risata vibrarmi sul collo.<<la ragione domina sugli istinti>>
Mi allontanai ritraendomi;lui rimase impietrito-non lo sentivo più nemmeno respirare.
Incrociammo i nostri sguardi attenti.La sua espressione si fece più rilassata,ma allo stesso tempo perplessa.
<<ho fatto qualcosa di male?>>
<<no...al contrario.Mi stai facendo impazzire>>

venerdì 2 marzo 2012

Amer(d)ica

Una parte dell'opinione pubblica americana, soprattutto quella repubblicana, si sofferma a parlare della crisi che ha colto l'Europa, avanzando critiche ma allo stesso tempo dimenticando che gli Stati Uniti non sono affatto immuni dai disastri che la crisi economica globale, da essi causata, ha prodotto da circa 4 anni a questa parte. Il fatto è che la maggioranza delle persone su scala quasi globale - esclusa quella percentuale di persone critiche che vorrebbero farsi portavoce di un'alternativa per uscire dalla crisi, percentuale ancora troppo risicata affinché possa avere un peso rilevante per la messa in atto di azioni risolutive - questa maggioranza, dicevo, fatica ancora a prendere il coraggio intellettuale a 4 mani per ammettere che, con una crisi come questa che è di tipo sistemico, o si cambia radicalmente il modello oppure difficilmente se ne potrà uscire. E sperare in una ripresa è inutile, soprattutto in paesi come il nostro dove la produttività è messa a repentaglio dalla mancanza di adeguati investimenti industriali, dove non si riesce a reggere la concorrenza fintanto che non verranno messe in atto politiche per una soluzione equa, giusta e lungimirante della gestione del costo del lavoro senza tutte le volte voler intaccare ed attaccare norme di civiltà a tutela dei lavoratori che potrebbero avvicinarci un pochino di più a paesi che hanno la fortuna di avere uno stato sociale ancora solido (ed anche salari più dignitosi dei nostri). E comunque anche lo stesso modello produttivista andrebbe rivisto e ridiscusso in virtù delle sfide ambientali dalle quali dipende la sopravvivenza del genere umano nei prossimi decenni a venire.
Fatto questo dovuto cappello, gli Stati Uniti, pur essendo divenuti un paese con un'economia parassitaria, la quale rimane suo malgrado ancora a galla grazie agli spalleggiamenti nell'ombra dell'economia cinese (l'economia di stato che, vedendo che i tempi non erano maturi per sconfiggere il capitalismo, ha messo in atto la strategia migliore dell'assorbimento e dell'incarnazione degli aspetti più evidenti, fondamentali e ahimé anche deleteri del capitalismo) rimangono ancora una nazione che esercita un certo fascino nell'immaginario collettivo perché molti pensano che siano il luogo dove certi sogni si possono ancora realizzare. Non sono qui per spendere parole d'elogio per l'America, affatto, sono e sarò sempre molto critico nei confronti di un paese che credo incarni ancora il capitalismo nella sua forma peggiore, più becera.
Scrivo queste cose perché parallelamente mi vengono in mente tutti quegli ebrei, in massima parte originari dell'Europa orientale che, agli albori del XX secolo, emigrando negli Stati Uniti, hanno successivamente fatto tanto per quel paese in termini di cultura, arte, letteratura, musica, cinema (lo spettacolo teatrale "Es iz Amerike" di Moni Ovadia fornisce un quadro utile sull'argomento). Si pensi ad esempio a Gershwin e ai Fratelli Marx.
E la mia mente torna a quel viaggio di 3 anni fa in Lituania - per tornare agli ebrei - la cui capitale Vilnius ospitava la comunità ebraica più importante di tutta l'Europa,  successivamente dispersa e decimata dalla guerra e dalle persecuzioni naziste. Oggi si studiano itinerari cittadini per tornare sulle tracce, i lasciti e in generale su quel poco che resta di quel tempo, di quella cultura, per ricordare, per non dimenticare. Mi torna in mente l'allegro e scanzonato clochard che aveva il suo universo mondo in Pilies gatvė a Vilnius, via centrale cittadina e isola pedonale. Questo personaggio che ho soprannominato "il sindaco di Pilies gatvė" viveva - e mi auguro viva ancora - le sue giornate grazie alle offerte e alle birre che gli venivano gentilmente servite da gente di buon cuore, aveva tappezzato la strada di manifestini con la sua figura e la scritta "Kur tu Amerika?" ("Dov'è l'America?"). Ogni tanto si infilava in qualche androne di palazzo, saliva le scale e si affacciava ad una finestra o un balcone con un boccale di birra in mano e gridava "Aaameeeeeeeeerikaaaaaa!". Forse sognava di andarci ma non poteva perché era povero. E allora le sue giornate trascorrevano trasognate lungo questa animata via della capitale lituana. Perché, come recitava l'essenza di un film che aveva come protagonista Harvey Keitel ma di cui ora non ricordo il titolo, si può conoscere il mondo senza mai spostarsi dallo stesso luogo. Questa affermazione ha un qualcosa di taoista quasi, se volete approfondire vi consiglio di scoprire il filosofo cinese Chuang-Tzu attraverso gli scritti del poeta e saggista messicano Octavio Paz. Buona lettura, questo è cibo per la mente!

[...] Chi si fa in quattro pur di viaggiare, non pensa neppure che l'arte di vedere i cambiamenti è anche l'arte di restare immobile. Il viaggiatore che volge il suo sguardo dentro se stesso può trovare proprio qui tutto ciò che cerca. Questa è la forma più perfetta di viaggio; l'altra è in realtà una maniera molto limitata di cambiare e di contemplare i cambiamenti [...] Il grande viaggiatore non sa dove va; chi contempla davvero, ignora ciò che vede. I suoi viaggi non lo portano da una parte del creato e poi da un'altra; i suoi occhi non guardano un oggetto e poi un altro; vede tutto insieme. E' questa che chiamo contemplazione.

giovedì 1 marzo 2012

Maurizio Fusco


Maurizio Fusco è nato a Roma nel 1956, dove vive e opera come pittore, grafico e poeta.
Si è avvicinato all'arte come promotore. Ha iniziato a presentare se stesso e le sue opere di poesia prima e di pittura poi.
Ha esposto in numerose mostre in Italia e all'estero. Ha presenziato e raccolto successi in mostre, rassegne e manifestazioni culturali in Italia e all'Estero. Le sue opere sono presenti in collezioni private in Europa, negli Stati Uniti, in Australia, Egitto.
 
 

POESIE DI MAURIZIO FUSCO


Tasti bianchi e neri
La nostra vita, la mia, la tua, tasti bianchi e neri,
bianchi di nebbia, giorni di scuola,
cupo di nero il cielo e l'infanzia invola.
Cede il pensier dei primi amori all'aurora,
bianchi fogli vergati da frasi d'amore,
col nero inchiostro ne scrivo ancora.
Le dita sulla tastiera le note innalza al cielo,
bianchi o neri tasti,
la musica accompagna il nostro amore, il pianto il riso, la vita.
Prendi musica tra le mani il nostro cuore, se diviene arido,
tra i fiori più colorati, le rondini andate dei pensieri,
gli sguardi persi ed i baci avuti...portalo,
perchè viva ancora.
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Sul palcoscenico

Luce sulle tende,
musica d'intorno,
passi affrettati a seguir note lontane.
Bianco cigno,
morente tra le acque di un lago di note,
così ti ricordo,
così m'allontanai,
senza girarmi a guardare.
Ladro d'anime,
pietoso elemosinante
di amor sempre grave,
mai pago d'emozione,
schiavo dello stesso male.
Male dell'arte,
figlia della tristezza
e gioia dell'amore.
Luce di occhi spenti,
mai sazi di vedere,
mani tremanti
su bianchi fogli di ricordi,
carezze d'amore perse
sporche ditate di colore.
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Notte di fuoco
Notte di fuoco,
di cavalli andalusi,
di onde rigettate dal mare.
Ed i tuoi fianchi sottili che si abbattono
nella mia mente,
come piccoli piedi sulla sabbia,
lasciando orme indelebili.
Fata morena,
strega dei sensi,
della mia notte ubriaca d'amore
e persa di te.
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Odori del tempo

Calci nell'aria, a scovar della terra l'odore,
mena bambino mio che nell'età
tu possa ricordare.
Tempera la matita per disegnare,
che il profumo dei banchi in Aprile,
ti possa narrare.
Profumo intenso di castagne al fuoco,
respira a piene nari, che nel ricordare i nonni, da uomo, possa domani.
Castagne che ti scaldino il cuore,
possa trovar da stringer tra le mani.
Passa tra i capelli della mamma le tue mani, perchè possano tenere insieme le trame e della vita i crinali.
Il tabacco di tuo padre,
tra le pieghe delle sue tasche,
briciole di esistenza, pensieri cupi,
fumati al cielo perchè i tuoi occhi distratti, non dimentichino di stringere sul cuore.
Le sue rughe, frustate inclementi del tempo nelle sue mani,
le stesse tue.......domani.

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Mamma delle bambole  
Per te, mamma delle bambole,
pettinate con cura,
poste in ordine a ricordo dell'infanzia mai avuta.
Per te,
per le tue piccole,
tenere dita,
che non accarezzano più i miei capelli e non asciugano le lacrime,
ormai asciugate dal tempo.
Angelo vicino alla finestra con lo sguardo in cerca del domani,
di quel domani che non arriva.
Musica cantata dalla tua voce allegra,
eco delle mie stanze,
vuote di te,
come il mio cuore.
Per te la mia poesia, le mie dita sporche come dicevi tu, ad imbrattare tele
e sorridevi.
Come vorrei per un momento,
ascoltassi quando leggono gli attori le mie poesie.
Quando in stanze enormi,
si perdono le tele sporcate
dal tuo, una volta bambino,
la gente applaude ma non sa che applaude te
Te, madre,
che mi hai insegnato ad amare la vita,
a non fermarmi a guardare dei fiori solo i colori,
a respirare i palpiti della natura e delle cose.
Tu che solo il Signore raccolse,
e nella Terra Madre pose,
per portare nel cielo tra le più belle cose,
il tuo sorriso,
le tue carezze agli angeli più soli,
ai fiori la bellezza più tenue;
delle tue dita,
il velluto alle rose.
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Liberi  
Liberi nell'aria,
pini svettanti,
uccelli in volo,
pensieri persi,
rime racchiuse in un foglio,
gridate al mondo,
per far sentir più libero un poeta,
un uomo...meno solo.
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Grazie  
Guardo alla luce persa di una candela,
il bianco della tela che lancia sul mio
cuore la luce dei colori,
ed il tuo viso.
Muove il tenue vento dal mare,
le tende della stanza come le vele,
quelle che hanno accompagnato i nostri sogni,
quelli lanciati al mare,
tra i flutti,
senza bottiglia,
perché come coralli crescessero in fiori,
rossi come l'amore,
lucidi come i tuoi occhi,
bagnati dalle perle delle tue lacrime.
Frasi non dette dal labbro che non sa parlare,
della vita che un pazzo ti dà senza poter darti il tempo di capire,
cui il tuo amore non sa rinunciare.
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Finestre d'estate  
Vecchie persiane socchiuse
al sole di un Agosto caldo e lontano,
riflessi sul soffitto verde smeraldo,
dei tuoi colori, a ricordare il mare.
Soffio di ebbrezza che mi fa tremare,
tempo trascorso,
ma che può far male.
E ...respirava di là soffiando,
tra le tue arse stecche di legno
ed i miei acerbi pensieri il vento amico,
col suo stesso profumo... ora,
me lo rimanda il mare.
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Sul ponte a sera
 
Scorre l'acqua,
e sotto il ponte tremano,
le foglie da essa trasportate,
giovani le loro vite,
dall'autunno troncate.
 
Un colpo di vento
e torna la realtà,
il sole rossastro,
pare che si volga a salutare,
nel solco aperto dalla sera che incede,
il giorno, che nella notte i pensieri trasporta,
...e scompare.