"Nel divenire dell'arte, del conoscere e della scienza s'incontrano ripetuti tentativi di fondare e svolgere una dottrina che a noi piace chiamare Morfologia", scriveva Goethe nel
Versuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären (La metamorfosi delle piante), saggio scientifico del 1790. Fin dall'origine, la teoria delle forme è una teoria delle trasformazioni: la forma non è tanto
Gestalt (entità fissa), ma
Bildung (formazione). Nella realtà la forma vive sempre e solo in formazione, è l'esito scolpito dal tempo di un diagramma di forze.
πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός (Panta rei os potamòs), tradotto in "Tutto scorre come un fiume"è l'aforisma di Eraclito in cui è formulata la visione del filosofo sul divenire delle cose. L'espressione proviene da un frammento del trattato
Sulla natura:
"Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va."
In questo frammento è sottolineato come l'uomo non possa mai fare la stessa esperienza due volte, giacché ogni ente, nella sua realtà apparente, è sottoposto alla legge inesorabile del tempo. Altrove tuttavia Eraclito sottolinea che v'è un
Logos, sottostante a questo continuo mutamento, un'armonia profonda che governa in modo oscuro e inconoscibile la perenne dialettica fra contrari, che provoca il divenire perpetuo degli enti sensibili.
E' alla forma che la nostra tradizione filosofica affida il ruolo primario, in termini ontologici, di scolpire l'identità degli enti, e in termini gnoseologici, di renderli osservabili.
La morfologia si edifica come "scienza trasversale" in un mondo che è una rete di comunicazioni dove si trasportano forme, informazioni che si imprimono sulla materia. La morfologia insegue uno statuto autonomo tra l'arte e la scienza e l'idea di un'estetica come scienza della forma ha mosso il succedersi degli stili nella storia dell'arte, fino a diventare, nella metafisica, una maschera che svela la faccia nascosta del reale.
La forma abita l'intramondo, sta all'incrocio dei piani che la nostra tradizione filosofica ha separato, sensibile e concettuale, l'astrazione geometrica e l'immaginario, il singolare e l'universale.
L'ordine proprio al "mondo sensibile" oggi non obbedisce più alla regolarità dei poliedri, né trova più posto tra le rassicuranti coordinate del piano cartesiano. Il libro della natura continua ad essere scritto nella lingua della geometria, come voleva Galileo, ma si tratta ormai di una lingua non più euclidea. La forma, che da Platone a Kant era associata al bello, abita oggi una
morphologie autre, quella che viene discussa dalle scienze del caos e della complessità: i frattali descrivono forme instabili ed irregolari come il frangersi di un'onda, le anfrattuosità di una scogliera, la schiuma della birra. E l'immaginazione si risveglia di fronte a macchie, screpolature, profili di nuvole, di fronte alle potenzialità espressive dell'informe.
Ad una Natura disincantata dallo sguardo delle scienze la morfologia sembra poter restituire un senso, ritrovando nella genesi delle forme analogie insospettate tra opera della natura e opera dell'uomo.
"L'artista - diceva Paul Klee -
deve porsi nel punto in cui le cose hanno origine, dove le forze generano le forme originarie."
Se l'arte ripete la morfogenesi è perché anche la natura può essere intesa come un'opera d'arte.
La storia dell'arte sembra progredire verso un grado zero della forma, nel quadrato bianco su fondo bianco di Malevic,
in Mondrian,
o Rotko.
Per altre vie l'arte del Novecento ritrova poi le suggestioni della cultura cinese, una cultura in cui la nozione di forma (che noi occidentali vorremmo universale) non è che una pausa nella trasformazione incessante, inseparabile del processo del mondo. Per la pittura cinese si tratta di dipingere il senza-forma, il fondo d'immanenza da cui le cose provengono, il vuoto non come mancanza o assenza ma come apertura: richiamandosi ad essa Picasso diceva che non si tratta di imitare la natura nel senso di riprodurne le apparenze visibili, ma di operare come lei, di rinnovarne cioè il processo di formazione.