Solvitur ambulanda
N.B.: Il presente blog non costituisce testata giornalistica, né ha carattere periodico, essendo aggiornato in base a come pare a me. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale, ai sensi della Legge n. 62 del 7-03-2001.

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lunedì 18 giugno 2012

Tajévval

File di alberi sugli argini dei canali, nella Bassa occidentale bolognese, le chiuse, il piattume che permette di distinguere chiaramente, nelle giornate di sereno, quando non c'è la tipica foschia dell'umidità, le tre fasce del territorio: la pianura, la collina e l'Appennino, fino al Monte Cimone. I tramonti più struggenti della mia vita li ho sempre visti nella Bassa, con gli orizzonti delimitati dai pioppeti e dalle sparse case coloniche con l'adiacente stalla e ancora il pozzo, costruzioni che si possono far risalire, a volte, addirittura al Diciassettesimo secolo.
Tivoli, non il comune in provincia di Roma, bensì la frazione nel comune di S. Giovanni in Persiceto, è già di per sé un luogo limitato e circoscritto. Una frazione non bastava, bisognava crearne un'altra lì vicino, Ducentola.
In frazione Ducentola alcuni amici hanno compiuto la scelta coraggiosa di mettersi in società per comprare un vecchio rustico della seconda metà dell'Ottocento, che sarà da ristrutturare. La casa è così grande che ci possono vivere tranquillamente tre famiglie da stare larghe e non pestarsi i piedi. E tutt'intorno un ettaro di terra dove pianteranno alberi da frutto, ortaggi e dove insedieranno animali da cortile. E poi la frescura, il silenzio, la quiete olimpica, assoluta e cosmica della sera che ti rimette in pace con te stesso, il tuo prossimo e il mondo. Che bel posto, che cielo stellato ho potuto ammirare ieri sera, che bella festa in compagnia di tanta gente buona e simpatica, riunitasi per l'occasione di questo "battesimo laico", per augurare ogni bene a questi bravi ragazzi generosi che hanno deciso di intraprendere questo cammino di decrescita felice. Vi auguro tutto il bene del mondo e buon cammino, di cuore.
Non è vero che la pianura è solo piatta e mancante di peculiarità. La pianura allena ad avere non una visione globale o di insieme, bensì abitua l'occhio al particolare, alla visione di elementi, di singole caratteristiche del paesaggio, di scorci, per trovare alle volte angoli che hanno ancora la capacità di farci struggere e commuovere. Smettiamola di consumare questo territorio, il nostro territorio e preserviamo l'ambiente agreste che a volte siamo ancora in grado di ritrovare, bello e quasi inalterato, nonostante ormai ci sia tutto questo inurbamento quasi selvaggio che fa perdere i contorni alle cose in periferia e rende tutto promiscuo, indistinto, scevro ormai di ogni vera funzione primigenia.

sabato 9 giugno 2012

Miopia

Vi ricordate quando più di 30 anni fa l'ultimo grande statista che abbiamo avuto in Italia, Enrico Berlinguer, aveva sollevato la questione morale contro l'allora sistema di potere imperante? Egli disse che i partiti erano macchine di potere e di clientela che gestivano interessi, i più disparati, contradditori e a volte loschi. Nel lanciare la questione morale, ovviamente Berlinguer ci teneva ad affermare la diversità del suo Partito rispetto agli altri partiti. Il suo sogno e la sua speranza erano quelli di cambiare in meglio l'Italia.
I partiti di allora non esistono più, eppure il problema della questione morale in Italia resta, metastatizzato ormai anche nel settore privato.
Non è più solo un problema di politici che prendono illecitamente soldi per finanziare illecitamente i loro partiti, oppure politici che favoriscono amici per ricevere in cambio denaro e altre cose. Stiamo parlando di un cancro che ha raggiunto ogni aspetto della società civile e che investe pure banchieri e calciatori, arrivati a percepire tangenti per truccare le partite.
Ne consegue che la questione morale, da problema meramente politico, si è trasformata in un problema economico, arrivando forse persino ad essere causa del mancato sviluppo del nostro Paese nell'ultimo ventennio. E allora forse la si dovrebbe smettere di voler ogni volta attaccare ed intaccare l'articolo 18 e si dovrebbe iniziare a domandarsi che forse le nostre aziende, se non crescono, non è colpa dell'articolo 18, ma dell'amoralità diffusa nel nostro Paese. E vi spiego perché. E' stato statisticamente rilevato che nei Paesi ove c'è più fiducia nell'onestà e rettitudine dei propri concittadini le imprese sono di dimensioni più grandi. Questo perché si crea una situazione favorevole al titolare, il quale può delegare i propri poteri perché si fida dei propri dipendenti (più delega, più alto potrebbe essere il rischio che un dipendente infedele approfitti della situazione, rubando o arricchendosi alle sue spalle).
Ne consegue che la mancanza di fiducia rende impossibile delegare e questo porta le imprese a rimanere concentrate, con il controllo esso stesso concentrato nelle mani di una sola persona o un gruppo ristrettissimo di persone, le porta a rimanere medio-piccole, a non crescere, espandersi.
La mancanza di fiducia impedisce anche la meritocrazia e i sistemi di selezione secondo principi meritocratici. Se si teme che un dirigente possa essere non degno di fiducia, allora si preferisce puntare sul familiare (nipote o comunque parente) o sull'amico, anche quando costui dimostra di non essere totalmente competente. Ecco perché la qualità dei nostri manager in Italia non è delle migliori, perché si preferisce premiare la fedeltà alla "famiglia" piuttosto che le competenze.
Perché in Italia non ci fidiamo? Perché sappiamo che nel nostro Paese prevalgono i furbi a scapito degli onesti. In Italia abbiamo un conflitto di interessi assai diffuso e tuttavia non viene percepito come un problema al quale dare immediata risoluzione.
Per tornare alla politica, fintantoché la questione morale continuerà ad essere sfruttata come mero pretesto per affermare la presunta superiorità della propria parte politica rispetto agli avversari, ogni tentativo di riforma sarà sempre destinato a fallire. Ribadisco, senza fare demagogia o populismo alla Beppe Grillo - lungi da me - marce sono le persone al potere perché marcio è il sistema di valori. Per adesso siamo solo allo stadio di consapevolezza diffusa tra la popolazione che questa amoralità diffusa non può più essere tollerata. Però torno a dire che la politica non adrebbe rottamata, bensì risanata e riformata (richiamandomi a quell'articolo della Costituzione italiana che sancisce che i partiti sono necessari allo scambio democratico nel Paese). E se questa consapevolezza sull'amoralità della politica in Italia la trasferissimo anche sulla crisi economica nera che stiamo vivendo adesso? Forse nascerebbe una coscienza concreta su questo argomento che non c'è più tempo di aspettare e che bisogna cambiare.
Per concludere dico che sono e rimango un idealista, una persona con un concetto "alto" della politica, che non deve essere mestiere o strumento utilizzato per il proprio tornaconto personale, bensì deve essere una missione, una dedizione nei confronti del prossimo. Ribadisco che per me i partiti non sono tutti uguali e penso a tutti quegli esponenti politici del passato che si sono distinti per integrità morale, per essere persone che, dedicandosi alla politica, apprendevano seriamente tecniche di gestione della cosa pubblica e anche un'etica della dedizione. Queste persone hanno fatto tutte una generosa gavetta nelle associazioni giovanili prima di entrare nel partito e per la scelta fatta non hanno messo su nessua impresa privata, nessuno studio professionale, nessuna fabbrica o impresa edile e pertanto, una volta entrati in Parlamento o al Governo, non dovevano né salvaguardare, né incrementare le proprie ricchezze o rendere favori a chicchessia.
Prendete nota.

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Inorridiamo nei confronti della Russia di Putin che continua a difendere a spada tratta il regime di Assad proprio perché la Siria è il principale acquirente delle armi di fabbricazione russa.
Ma se solo sapeste che la dittatura del Turkmenistan, l'autoritario Gabon o l'Algeria sono solo alcuni degli acquirenti delle esportazioni di armi di fabbricazione italiana inorridireste anche in questo caso. Stiamo parlando di zone di conflitto o zone dove si verificano reiterate violazioni dei diritti umani. Il settore degli armamenti è uno dei pochi a non conoscere crisi. Complimenti.

venerdì 1 giugno 2012

Latvian Folk

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Maltuves balsis

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Lettera al terremoto

Ricevo e condivido la lettera di un cittadino del comune di Calderara di Reno (BO), scritta parafrasando un monologo di Carlo Lucarelli. Semplicemente bellissima.

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Gentile Sig. Terremoto,

c'è una cosa che non hai capito della mia terra, ora te la racconto:

Per chiamarci non basta una parola sola: Emilia Romagna, Emiliano Romagnoli, ce ne vogliono almeno due; e anche un trattino per unirle, e poi non bastano neanche quelle.
Perché siamo tante cose, tutte insieme e tutte diverse, un inverno continentale, con un freddo che ti ghiaccia il respiro e un'estate tropicale che ti scioglie la testa, e a volte tutto insieme come diceva Pier Paolo Pasolini, capaci di avere un inverno con il sole e la neve, pianure che si perdono piatte all’orizzonte e montagne fra le più alte d’Italia, la terra e l’acqua che si fondono alle foci dei fiumi in un paesaggio che sembra di essere alla fine del mondo.
Città d’arte e distretti industriali, le spiagge delle riviere che pulsano sia di giorno che di notte, e spesso soltanto una strada o una ferrovia a separare tutto questo; e noi le viviamo tutte queste cose, nello stesso momento, perché siamo gente che lavora a Bologna, dorme a Modena e va a ballare a Rimini come diceva Pier Vittorio Tondelli, e tutto ci sembra comunque la stessa città che si chiama Emilia Romagna.
Siamo tante cose, tutte diverse e tutte insieme, per esempio siamo una regione nel cuore dell’Italia, quasi al centro dell’Italia, eppure siamo una regione di frontiera, siamo anche noi un trattino, una cerniera fra il nord e il sud, e se dal nord al sud vuoi andare e viceversa devi passare per forza da qui, dall’Emilia Romagna, e come tutti i posti di frontiera, qualcosa prende chi passa e soprattutto  chi resta, ad esempio chi è venuto qui per studiare a lavorare oppure a divertirsi e poi ha deciso di rimanerci tutta la vita…in questa terra che non è soltanto un luogo, un posto fisico dove stare, ma è soprattutto un modo di fare e vedere le cose.
Perché ad esempio qui la terra prende forma e diventa vasi e piastrelle di ceramica, la campagna diventa prodotto, e anche la notte e il mare diventano divertimento, diventano industria, qui si va, veloci come le strade che attraversano la regione, così dritte che sembrano tirate con il righello.
E si fa per avere certo, anche per essere, ma si fa soprattutto per stare, per stare meglio, gli asili, le biblioteche, gli ospedali, le macchine e le moto più belle del mondo.
In nessun altro posto al mondo la gente parla così tanto a tavola di quello che mangia, lo racconta, ci litiga, l’aceto balsamico, il ripieno dei tor
tellini, la cottura degli gnocchi fritti e della piadina e mica solo questo, sono più di 4000 le ricette depositate in Emilia Romagna; ecco, la gente lo studia quello che mangia, perché ogni cosa, anche la più terrena, anche il cibo, anche il maiale diventa filosofia, ma non resta lassù per aria, poi la si mangia. Se in tutti i posti del mondo i cervelli si incontrano e dialogano nei salotti, da noi invece lo si fa in cucina, perché siamo gente che parla, che discute, che litiga, gente che a stare zitta proprio non ci sa stare, allora ci mettiamo insieme per farci sentire, fondiamo associazioni, comitati, cooperative, consorzi, movimenti, per fare le cose insieme, spesso come un motore che batte a quattro tempi, con una testa che sogna cose fantastiche, però con le mani che davvero ci arrivano a fare quelle cose li, e quello che resta da fare va bene, diventa un altro sogno.
A volte ci riusciamo a volte no, perché tante cose spesso vogliono dire tante contraddizioni. Che spesso non si fondono per niente, al contrario non ci stanno proprio, però convivono sempre.
Tante cose tutte diverse, tutte insieme, perché questa è una regione che per raccontarla un nome solo non basta.
Ora ti ho raccontato quello che siamo, non credere di farmi o farci paura con due giri di mazurca facendo ballare la nostra terra, io questa terra l’amo e come mi ha detto una persona di Mirandola poche ore fa… questa è la mia casa e io non l’abbandonerò mai.

M. B.
Leggere quello che ha scritto un abitante del comune di Cento (FE) forse può aiutare il morale a terra a causa del terremoto a risollevarsi un po'.

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EMILIA

Emilia è nel boato sordo nella notte, quello che precede di un istante il terremoto e sveglia anche chi ha il sonno pesante.
Emilia è nel sangue degli operai che, nel tentativo di portare a casa “due lire”, se ne sono andati via. Per sempre.
Emilia è nella tenacia di chi resta. Frustrato e spossato, ma resta.
Emilia è nei morti, nei feriti, negli sfollati, nei disoccupati e nelle occhiaie di chi continua a timbrare il cartellino nonostante le notti insonni, alla costante ricerca di un ritorno alla normalità.
Emilia è nelle lacrime di quelli che hanno perso la casa e/o il lavoro, ma ne hanno anche per commemorare GIOVANNI FALCONE e MELISSA BASSI.
Emilia è nella riconoscenza della vecchietta che si affaccia alla finestra per applaudire un gruppo di volontari armati di guanti e pale e, quando i giovani le rispondono che purtroppo non è stato consentito loro di fare molto, comunque li apostrofa come eroi.
Emilia è nell’orgoglio di chi si rifiuta di far finta di niente e di volger lo sguardo dall’altra parte.
Emilia è nel salame spartito con gli sfollati del campo sportivo.
Emilia è nelle strette di mano, nei calici di Lambrusco e nelle bestemmie ed imprecazioni dei vecchi che continuano a darsi appuntamento al bar, per una partita a carte.
Emilia è nella vetreria che non c’è (più), eppure c’è.
Emilia è nell’altruismo del vicino di casa che ci viene a cercare se non ci vede in strada, dopo la scossa.
Emilia è nella consapevolezza di essere fortunati, nella sfortuna.
Emilia è nella pazienza del giovane che ha sempre tre minuti per fermarsi ad ascoltare l’anziano che magari non ha niente da dire, ma quel niente è tutto quel che gli è rimasto.
Emilia è nel suono di una chitarra e nel profumo di un piatto di fumanti tortellini, nei SOCMEL e negli SCULASON.
Emilia è nella voce rotta dall’emozione dell’amico che ti dice che andrà tutto bene, anche se nemmeno lui sa più a che santo votarsi.
Emilia è nelle immagini che passano in rapida sequenza nella testa mentre fissiamo le pareti della tenda o il finestrino della macchina in cui dormiamo e fuori è buio ma noi, di dormire, non ne vogliamo sapere.
Emilia è nel cuore di chi sa che non c’è niente da ridere, ma trova sempre il modo di strappare un sorriso.
Emilia è nell’ironia di chi si gioca un caffè su epicentro, magnitudo e profondità di ogni singolo evento sismico, perché adesso siamo anche tutti un po’ geologi.
Emilia è nella fantasia con la quale ciascuno di noi ha almeno una teoria sulle cause di questa anomala serie di terremoti: gli esperimenti degli americani, le perforazioni esplorative di Rivara, gli ufo, lo spread, colpa d’Alfredo, il gol di Muntari.
Emilia è nel sisma che apre un nuovo squarcio nel muro e ci violenta l’anima, nel momento stesso in cui iniziamo a pensare che il peggio è ormai alle spalle.
Emilia è nell’angoscia che ci prende quando non riusciamo a metterci in contatto coi nostri cari.
Emilia è nel buonsenso col quale ci tratteniamo dal comporre tutti i numeri della rubrica ad ogni “onda”, per non intasare le linee telefoniche e, così facendo, ostacolare i soccorsi.
Emilia è nella testa di chi pensa che un abbraccio vale più di un iPhone e che c’è vita anche senza SUV.
Emilia è nelle cantonate geografiche di alcuni giornalisti: Bondano, Poggio Recanatico, Finale Emiliana, Poggio Rustico, Sant’Agnese e così via…
Emilia è nella denuncia di qualsiasi tentativo di abuso e tentativo di lucro sul dramma, tramite sciacallaggio, telegiornali “plastificati” e usurai travestiti da venditori di appartamenti, camper e tende.
Emilia è nell’indignazione di fronte alle idiozie vomitate da rappresentanti del popolo che si vantano di essere esponenti di una terra che non esiste, rivelandosi persone piccole come nani da giardino.
Emilia è nel triestino e nel trapanese che, pur abitando a “millemila” chilometri di distanza da casa nostra, ci ricordano quello che altri hanno cercato di farci dimenticare, e cioè che l’Italia è UNA ed INDIVISIBILE.
Emilia è nell’incapacità di una classe politica che non conosce alternative all’esprimere il proprio cordoglio ed all’aumentare il prezzo della benzina.
Emilia è nel sudore di chi potrebbe SFILARE, ma preferisce SPALARE.
Emilia è nella dignità, l’energia, la forza, l’emozione, la preoccupazione e la combattività dei suoi abitanti.